Il miracolo dei ragazzi attori nel quartiere della camorra

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  1. andychow
     
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    Attraverso il testo i giovani vogliono parlare dei loro giorni, la guerra allo zar diventa quella del quartiere


    di ROBERTO SAVIANO - LA REPUBBLICA

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    - Un miracolo è avvenuto di nuovo a Scampia. Arrevuoto, un progetto teatrale presentato dal Teatro Mercadante di Napoli, quest'anno vede il suo secondo movimento Ubu sotto tiro, una riscrittura da Alfred Jarry. Circa cento ragazzi di Scampia che recitano attraverso la regia di Marco Martinelli, classici del teatro affrontando con il grottesco, l'ironia, la malinconia il tema del potere, partendo proprio da lì Scampia, dove ogni potere assume profili diretti senza nessun tipo di camuffamento. Arrevuoto termine intraducibile, ma il cui senso può essere sintetizzato in sottosopra, scompigliare, sparigliare, mettere in disordine le cose così come sono. E quello che in Ubu re è il burattino Guignol nell'Auditorium di Scampia diviene Pulcinella, che però mai neanche per un attimo nella sua smorfia retorica. Ubu viene di volta in volta interpretato da diversi attori grandiosi nel prendere in giro ogni dimensione dell'autorità. Il re puzzolente, fanfarone, attirato da ogni possibile forma di ricchezza, terrorizzato da ogni sorta di responsabilità e guerriero solo nell'apparenza. Un re che diviene sempre più, seguendo la spirale che porta sul pancione, simile a ogni forma di potere che si riproduce identico dentro e fuori dal palco.

    Pulcinella si presenta in teatro e convince il direttore di diventare re per una notte e si fa pagare vitto alloggio e diaria, non solo per lui ma anche per tutti i parenti, interpretati da un centinaio di ragazzi che appaiono in scena in tuta. Sembrano tanti operatori nelle discariche. Ed è così, abituati alla feccia del vivere di questa terra, sembrano tutti soldatini di un presente di macerie.

    Marco Martinelli è un regista abilissimo e geniale che /riesce ad essere fedele al testo ed a tradirlo come solo le rappresentazioni teatrali ben riuscite riescono a fare. Mette insieme la dimensione surreale rendendola strumento concreto e non solo metaforico per comprendere il proprio tempo. Il tutto con la lingua e le facce di ragazzini che dei loro giorni vogliono parlare, attraverso Jarry. Quando si mettono tutti in fila pronti con il codardo re Ubu a sfidare l'armata dello zar la loro guerra immaginaria, diviene reale, realissima. Vicina, vicinissima. Al punto che sembra la guerra di Scampia.

    E' emozionante vedere Tonino, cresciuto in questo progetto, dare il la per far cantare all'esercito di ragazzini una canzone che si fa beffa delle teste di legno, delle cape di legname. Tutti burattini mossi da fili. Ma tutti i ragazzi di Scampia iniziano a tirare testate anzi capate contro il re. E la loro testa non diviene solo capa di legname ma l'unico modo per smontare ciò che non va. Arrevuoto è stato possibile attraverso una sinergia di forze, oltre il Mercadante e il Teatro delle Albe, anche le scuole con alcuni professori come guide, Liceo Genovesi, la Scuola media Carlo Levi, il Liceo Elsa Morante, e "Chi rom e chi no...." un'associazione coraggiosa che segue i rom di Scampia e attraverso il teatro mettono in contatto i coetanei di Scampia con i Rom in una sinergia che da queste parti ha davvero il sapore del miracolo.

    Gli attori, un centinaio, non sono solo ragazzi di periferia che invece di spacciare e sparare recitano, non è un diversivo, non è una recita di fine anno, ma quanto di meglio il teatro italiano abbia prodotto negli ultimi anni. Le loro scelte future, la loro situazione o il quartiere in cui sono nati divengono carburante ai loro talenti, forze per credere che la loro arte non è un mestiere da dame, né un divertimento da ricchi. Non c'è l'idea di recupero. Neanche un momento. Ma c'è la voglia di fare ciò che si vuole e nel migliore dei modi come forma di ribellione ad un luogo dove tutto sembra già deciso.

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    - E un momento altissimo di Ubu sotto tiro è la cena di merda, fatta di diarree, involtini di sterco e cacca macinata, che viene offerta dalle signore a re Ubu, sembra il pranzo del quotidiano che qui bisogna ingoiare e che in Ubu fa vomitare tutti, compreso Pulcinella. In un vomito che sa di repellenza, di non volersi ingozzare con quanto viene offerto. Un vomito che è un rifiuto. E in ogni momento la deformazione surreale si trasforma in verifica dei poteri reale. Le mogli di Ubu, sono decine di adolescenti, tutte nel loro nervosismo sembrano mimare le loro madri, e il destino di molte mogli, e poi c'è l'attore che interpreta lo zar di tutte le Russie, messo in scena come un boss, col mitra e la pelliccia, è evidente che interpreta se stesso, un se stesso nascosto, quello che deve inscenare per fuori dal teatro se vuole diventare un uomo che conta.

    Il teatro gli concede la dimensione altra. Quella dove puoi essere ciò che vuoi senza pagarne le conseguenze. Come se purificasse la pantomima di strada, come se ne facesse gioco. Per chi viene da un luogo dove a dieci anni puoi divenire un corriere di droga questo è un dono che solo l'arte può dare. E gli attori più piccoli sono quelli che tolgono il fiato per la bravura. Questa Nap-Polonia è incredibile. Mentre in platea i visi che riesco ad identificare sono quelli di tutti coloro che credono fortemente in questo progetto ed in ogni progetto che possa in qualche modo essere vitale rispetto alla morta situazione del sistema-scampia.

    Non c'è nessun piacere di scoperta antropologica, non c'è nessuno che vuole raccontare la periferia, il margine, il ghetto. C'è voglia di fare. Punto. Nell'aria c'è anche Goffredo Fofi, che tra i primi assieme a Roberta Carlotto, la direttrice del Mercadante, ha amato il progetto di Arrevuoto, che sembra non dimenticarsi mai le facce di tutti i ragazzi che hanno partecipato e che ha visto Teatro delle Albe di Ravenna esattamente il contrario dei "portatori di civiltà di tutte le risme" in grado di fare ciò che piace, ciò che è bello, ciò che viene di fare con lo stomaco e la testa, trovando la forza di mettersi insieme con l'intento di fare, di arrabbiarsi, di creare felicità, di mutare le cose, se si può e come si può. La premessa dimenticata dell'arte. Visi di una terra che non si è mai arresa. L'Auditorium che rischia di divenire un territorio occupato da territori politici in guerra, è una risorsa che speriamo possa rimanere a chi qui da sempre ci lavora. Lì pronto ad andare a chi lo usa, a chi ne fa strumento di creazione.

    Ubu sotto tiro, in conclusione diventa una grande festa. I ragazzi, gli attori e le attrici chiudono lo spettacolo in una grande festa di balli e abbracci, di colori e grida. Di parole, e di zigomi che si urtano e guance che strusciano. E sul palco tutti coloro che hanno reso possibile qualcosa in più di un solo spettacolo, ma una forma di resistenza.

    Fuori le piazze di spaccio, ogni dieci metri posti di blocco e volanti. Dinanzi al teatro curiosi e rispettati i nuovi capipiazza, gli Spagnoli, il gruppo uscito vincente dalla guerra contro i principi assoluti del narcotraffico, i Di Lauro. In una Napoli che non ha mai smesso di avere i suoi morti ammazzati quotidiani, dove al Quartiere Sanità si sta combattendo una nuova guerra e i boss considerati plebei, quelli dei Quartieri Spagnoli, secondo le ultime indagini della Dda stavano creando un clan in Tunisia; in una Napoli dove Vincenzo Di Lauro, il figlio del boss Paolo e fratello del generalissimo della faida Cosimino, appena arrestato davanti ai carabinieri dichiara: "sono un imprenditore, vi state sbagliando".

    Arrevuoto, non nega, non urla che c'è qualcos'altro, non dice di non parlarne, non ha vergogna, non crede si debba parlare di altro da quello che c'è. Trovando chissà dove quest'altro. Arrevuoto è parte di questa vita e di queste situazioni. Ma lì in quella Polonia immaginaria, anzi in quella Nap-Polonia si trova una forza di resistenza che non è altro che un volere bene alla propria terra quando non se lo merita, sapendo che è proprio in quel momento che ne ha più bisogno. E la massa di ragazzini sul palco sono, come si dice in Africa, un attraversare il fiume in molti come unico modo per evitare che gli alligatori si avvicinino e azzannino.

    Verrebbe da far un invito ai politici, ad fermarsi dinanzi alla bellezza sacra di questi ragazzi (anche per evitare le capate che a centinaia loro danno contro tutti gli Ubu della storia) e di capire le infinite strade che suggeriscono, mostrando che non dalle promesse, non dagli scambi di favori, non dalle consulenze, non dalle conferenze stampa, non dalle campagne pubblicitarie, si troveranno mai soluzioni ma questa terra ce la farà con le proprie energie vere, con il proprio talento nel momento esatto in cui la felicità riesce ad opporsi al veleno, così naturalmente, come naturalmente si sceglie di vivere. Una scelta che può avvenire solo dando la possibilità di scegliere. Senza che nessuno venga a insegnare come fare, in un arrevuoto di emozioni contro gli alligatori.
     
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